Lella iniziò nel ’37, nel reparto spolette. Era nubile, senza figli, per questo fu scelta; dicevano che ogni sei mesi saltava tutto e non volevano donne con famiglia. Entrare a lavorare alla SIPE era una gran fortuna: stipendio assicurato, anche se inferiore a quello degli uomini, posto fisso, almeno finché non ti licenziavano. Poi si smetteva di lavorare in campagna, si usciva nel mondo, si era più libere, anche di fare meno figli. Anche sua madre ci aveva lavorato, dal ’15 al ’18, perché in tempo di guerra gli uomini scarseggiavano e di esplosivi ce n’era sempre bisogno. Era una gran fabbrica la SIPE, Società Italiana Prodotti Esplodenti e anche molto antica. Pare l’avesse fondata nel 1510 il duca Alfonso I d’Este. Una gran fortuna per il piccolo paese.
Poi i padroni erano buoni; avevano costruito alloggi per gli operai, un asilo, persino l’acquedotto del paese. C’era anche la mensa interna. Avevano persino costruito una stazione ferroviaria per far arrivare gli operai da fuori. Ma Lella era del paese e a lavorare ci andava in bicicletta, come quasi tutti. E che risate pedalando tutti assieme e quei bei giovanotti che ti guardavano e qualcuno pure ti chiedeva di accompagnarti a casa. Fu così che conobbe Luigi, suo marito. Lui lavorava agli esplosivi, faceva l’impasto con il nitrato di ammonio, la dinamite ancora in potenza, la farina di legno e la nitroglicerina. Era un lavoro pericoloso il suo e si portava addosso l’odore della paura oltre quello degli acidi. Forse per questo gli piaceva. Lo pensava un eroe. Poi, la guerra non lo chiamò al fronte perché era operaio specializzato e la SIPE se lo teneva caro. Una gran fortuna.
Lella lavorava alla SIPE da pochi mesi quando ci fu il primo scoppio. Saltò tutto il reparto. Lei gettò le ciabatte per correre più forte e scappare dalla paura, dalle urla, dall’odore della polvere. Ci rimise l’udito all’orecchio sinistro per il gran boato. Quando tornò a ripulire trovò denti umani tra la polvere e chiese di cambiare reparto. La misero all’imballaggio. Con la paraffina bollente bagnava i candelotti di dinamite e li impacchettava, pronti per la spedizioni. Ci volle poco perché la paraffina le bruciasse i polpastrelli. Così si trovò mezza sorda e senza più il senso del tatto, che quando accarezzava il suo Luigi mica la sentiva la sua pelle. Ma il suo odore, quello si. Tra i capelli, sul torace, persino nei piedi sentiva l’odore della nitroglicerina, dell’acido solforico, di quello nitrico. Ormai li distingueva meglio di un chimico, ma soprattutto sentiva l’odore della paura. La paura di Luigi ma anche la sua. E non ci trovava più niente di eroico. Ogni volta che varcavano assieme il grande cancello della SIPE si salutavano con il terrore negli occhi.
Era il ’61 quando ci fu l’ultima esplosione della carriera di Lella. Un incidente. Suo marito fu dato tra i dispersi. Lella sapeva cosa voleva dire: avrebbero trovato i suoi denti tra la polvere. Uscì per l’ultima volta dal grande cancello, non ci sarebbe tornata più. Andò verso casa, senza più un marito e senza tre dei suoi cinque sensi; aveva perso anche l’olfatto, bruciato dagli acidi, ma non ne aveva bisogno per sentire l’odore della SIPE; lo ricordava bene.
Riferimenti storici: Paola Nava. Ragioni e sentimenti. Le operaie della SIPE di Spilamberto dal fascismo agli anni sessanta. Centro Documentazione Donna, 1998.
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Questo racconto partecipa all’EDS (Esercizi Di Scrittura) Snif snif (I 5 sensi), de La donna Camel. Altri partecipanti:
- S.Sebastiano di Dario
- Terre lontane di Melusina
- Ucci ucci di Hombre
- Odori di ricordi di Lillina che ha scritto anche Profumo di Marsiglia.
- Buon compleanno nonno di Lillina
- Il profo del rinnovamento di Maimaturo
- L’abbondanza di cozze di Fevarin e carnazza
-
Odore della domenica di F.
- La puzza de La Donna Camel
Mi è piaciuto! Intenso ma con uno stile asciutto…
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Credo che lo stile asciutto sia necessario, per rispetto e per non lasciarsi trascinare dall’emotivitá
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Bellissimo … bravaaaaaaaaaaaaa
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🙂
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Grazie, mi hai fatto venire i brividi.
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Anche a me leggendo il libro sono venuti i brividi
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Adesso abbiamo il coraggio di lamentarci magari perche dobbiamo lavorare di domenica ….non esistono piu lavori cosi usuranti e pericolosi x fortuna
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Purtroppo i lavori pericolosi esistono ancora, soprattutto perché non vengono rispettate le norme di sicurezza. Vedi la Thyssenkrupp…
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Sembra il resoconto di un campo di lavoro in Siberia o di un viaggio all’inferno. Hai colpito duro, carissima. Brava.
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La SIPE eta ancora in attivitá negli anni ’70…
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Pingback: alcuni aneddoti dal futuro degli altri | 28.02.13 | alcuni aneddoti dal mio futuro
Grazie per avermi fatto conoscere questa realtà
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Ora Spilamberto è uno strano posto… certo rimane orgogliosamente il paese dei pazzi, ma credo che molta di quella follia provenisse proprio dalla Sipe.
Il tema è di quelli di cui parlo, a cui penso spesso, i luoghi sono gli stessi di questa mia ultima vita di doppio emigrante/pendolare, la scrittura è asciutta come piace a me. Cosa scriverti?
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Non sapevo che fosse il paese dei pazzi, anche se qualche prova, a pensarci bene l’ho avuta. E non sapevo che tu avessi a che fare col paese. Non c’é altro da scrivete ma molto da dire
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🙂
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Pingback: Il profumo del rinnovamento | MaiMaturo
Bravissima! Triste storia raccontata con il giusto registro stilstico.
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Grazie. I fatti parlano da soli
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Bello bello, complimenti.
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Apprezzo assai
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Un bellissimo racconto, brava, brava davvero!
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🙂
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Pingback: Pane ed olio
Grazie per avermi insegnato qualcosa che non sapevo, e che non dimenticherò data la forza dell’argomento e l’efficacia del testo.
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Anche per me é ststo una scoperta qualche anno fa, soprattutto considerando che il posto é vosì vicino a me
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Bellissimo il tuo racconto cara Katia. Odora di lavoro, prima di ogni cosa, ma anche di sacrifici e di morte…
Grazie! 🙂
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Grazie a Te!
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