Che la Memoria non duri un giorno.
Primo Levi. La tregua. Einaudi, 1965.
Il treno viaggiava lentamente. Comparvero a sera villaggi bui, apparentemente deserti; poi scese una notte totale, atrocemente gelida, senza luci in cielo né in terra. Solo i sobbalzi del vagone ci impedivano di scivolare in un sonno che il freddo avtebbe reso mortale. Dopo interminabili ore di viaggio, forse verso le tre di notte, ci arrestammo finalmente in una stazione sconvolta e oscura. Il grexo delirava: degli altri, quale per paura quale per pura inerzia, qule nella speranza che il treno ripartisse presto, nessuno volle scendere dal vagone. Io scesi e mi aggirai nel buio col mio bagaglio ridicolo finché vidi una finestrella illuminata. Era la cabina del telegrafo, gremita di gente: c’era una stufa accesa. Entrai, guardingo, come un cane randagio, pronto a sparire al primo gesto di minaccia, ma nessuno badò a me. Mi buttai sul pavimento e mi addormentai all’istante, come si impara a fare in Lager.
Mi svegliai qualche ora dopo all’alba. La cabina era vuota. Il telegrafista mi vide alzare il capo, e mi pose accanto, a terra, una gigantesca fetta di pane e formaggio. Ero sbalordito (oltre che mezzo paralizzato dal freddo e dal sonno) e temevo di non averlo ringraziato. Mi infilai il cibo nello stomaco e uscii all’aperto: il treno non si era mosso. Nel vagone, i compagni giacevano inebetiti; al vedermi si riscossero, tutti salvo il jugoslavo, che cercò invano di muoversi. Il gelo e la immobilità gli avevano paralizzato le gambe: a toccarlo urlava e gemeva. Dovemmo massaggiarlo a lungo, e poi smuovergli cautamente le membra, come si sblocca un meccanismo arrugginito.
Era stata per tutti una notte terribile, forse la peggiore dell’intero nostro esilio. Ne parlai col greco: ci trovammo d’accordo nella decisione di stringere sodalizio allo scopo di evitare con ogni mezzo un’altra notte di gelo, a cui sentivamo che non avremmo sopravvissuto.
[p. 48-49]
Da leggere e da rileggere. Non ricordavo più questo passaggio…
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Da leggere sempre
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La memoria degli altri ci regala ricordi non nostri grazie ai quali possiamo, senza dolore, magicamente imparare lezioni alle quali non abbiamo mai assistito.
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Dolore di riflesso, ma mai quello vero (per fortuna). Eppure in mokti preferiscono dimenticare
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Memoria e occhi. Andare e vedere, una tra le cose che bisogna assolutamente fare nella vita. Grazie per la condivisione.
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Uno dei primi libri che ho letto su questo tema, da leggere tante volte, mai dimenticare ciò che è accaduto.
Grazie Katia.
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Grazie a te Miss. I tuoi incontri e racconti coi partigiani aiutano la memoria
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Davvero un bel libro, ricco di figure indimenticabili.
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E da non dimenticare
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