Identificarsi è meglio

Un tocco fucsia di frivolezza sul tailleur da lavoro. Gambe accavallate che urlano: “guardatemi!”, ma con naturalezza e metà dei maschi sul vagone che le fissano. Gli altri sono troppo lontani.
Capelli raccolti in acconciatura perfetta probabilmente fatta da sè in due semplici mosse, con la stessa naturale sensualità con cui Jennifer Beals si toglie il reggiseno in Flashdance. Una di quelle donne a cui tutto riesce bene, elegantemente disinvolta anche in tuta, a cui le invidiose sorridono augurandole nell’intimo di rompersi una gamba.
Rimane immersa nello smartcoso per tutto il viaggio, anche quando parla con la collega, intenta nella stessa attività, con lo stesso completo, che su di lei però sembra meno comodo.
Nel suo parlare un simpatico accento veneto sorprende, che una così come minimo dev’essere americana e avere idioma da film hollywoodiano, che poi sarebbe doppiata in italiano… ma in dizione.
Un bedge appuntato sul tailleur, ne dichiara l’appartenenza ad un ignoto “staff” e dubitando si tratti di security da stadio, suppongo sia assistente nei convegni. Forse non lo stacca mai dalla “divisa”, o mostra al mondo l’orgoglio di categoria. Oppure è per giustificare quella perfezione, gridare a tutti che non è colpa sua, è il mestiere. “Non fatemi il malocchio voi, invidiose, che anch’io ho la cellulite sul sedere.”