Era stata una bimba timorata. Di suo padre, di sua nonna, della maestra, del prete, di Dio.
Di sua madre anche, occasionalmente.
L’autorità le toglieva il fiato come la pressione in alta montagna, ma lei nemmeno in pianura si liberava dell’affanno: che fosse sola o meno si sentiva perennemente osservata e giudicata. L’aveva mangiata, bevuta, ingoiata, interiorizzata l’autorità, e mai espulsa. Semmai sia possibile espellerla. Era una bambina remissiva e in modo istintivo capiva che questo l’aiutava. Vedeva il fratello dibattersi come un forsennato per ribellarsi, patirne le conseguenze, e comunque sottomettersi, e si riteneva fortunata nel non avere moti indipendentistici.
Passava i pomeriggi dopo scuola nel negozio di sartoria che la madre gestiva con la zia. Le piaceva guardare i rotoli di stoffa sugli scaffali dispiegati davanti alle clienti e diventare abiti tra le mani di sua madre. Vedeva i tagli precisi che la zia faceva sui tessuti, gli spilli, le imbastiture, le prove. Osservava le stoffe appese sui manichini abbozzare prima e definire poi le forme delle donna che avevano ordinato gli abiti e si divertiva a indovinarne i visi, la condizione, il carattere persino.
La madre e la zia sostenevano solennemente che molto delle donne si può giudicare in base ai tessuti che scelgono, ai disegni stampati, e soprattutto alle tinte. E la certezza dell’infallibilità di questa deduzione era alla base del loro comportamento con le clienti. Mai scortesi, potevano diventare però di una freddezza scostante con una donna che aveva scelto un tessuto “sbagliato”, ma mai le aveva viste così severamente algide come con la “donna in rosso” – così l’avrebbe sempre ricordata. Era entrata nel negozio un pomeriggio tardi e aveva guardato i rotoli di stoffa con delusione fino a richiedere espressamente un tessuto rosso. Le due sorelle si era impietrite come davanti al diavolo e subito l’avevano mandata, troppo piccola per capire, nel retrobottega con l’ordine di non uscirne. Le madre aveva recuperato la stoffa rossa dallo scaffale più alto e buio della sartoria, mentre la zia accostava con discrezione le tendine della vetrina.
Dalla porta socchiusa del ripostiglio, lei aveva osservato il sorriso della cliente trasformarsi, lasciando la cordialità per un orgogliosa, beffarda sfida. La testa alta, non aveva ceduto di un passo dai suoi propositi e aveva ordinato il suo abito rosso con fermezza, imponendo anche modifiche sulla sobrietà del modello proposto.
Ancora non lo sapeva, ma fu in quel momento che uno spillo di ribellione le s’infilò dentro a segnare il limite di un orlo che avrebbe imbastito pazientemente e silenziosamente nel tempo; un limite molto più alto di quello imposto fino a quel momento da suo padre, sua nonna, della maestra, del prete, da Dio.
Da sua madre anche, non proprio occasionalmente.
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Stupendo racconto, ricco di belle immagini! Brava Katia!
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Grazie Viv. Mentre scrivevo di spilli e orli pensavo a te spetando di non infilare castronerie… Non è che m’intenda molto di sartoria 🙂
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Sei stata perfetta, mi è piaciuto molto!
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Ne sono felice
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E la bambina timorata diventata grande, votò PC (che non sta per Personal Computer, ma Partito Comunista Italiano).
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He he. Può essere, sì. O magari diventa anarchica 🙂
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Fino a metà lettura ho pensato la ragazza timorosa fosse la donna in rosso, anche per la sua postura nella foto. Poi il racconto mi ha detto altro riguardo alla ragazza mandata nel retrobottega. Però nel finale sono tornato alla idea primaria. 🙂
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Era quella la mia idea, sì. La viaggiatrice che ho fotografato, nel mio racconto è la bambina
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Allora l’avevo riconosciuta 🙂
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🙂
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ma la collana?!?! non mi dici niente della collana?!?! 😀
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Gli accessori alla prossima puntata 😉
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Splendido racconto, da un abito e un colore hai immaginato e ricostruito una vita intera.
Davvero molto bello, bravissima!
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Grazie Miss. Ti dirò che molto mi ha suggerito il viso, la contrazione della bocca e la posizione delle mani…
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anche a me, prima del vestito, ha colpito il viso e quelle mani mi suggeriscono una leggera tensione. il vestito invece non mi piace, ma a me non piace il rosso.
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Il racconto nasce proprio dal contrasto tra la tensione di mani e viso e lo sfoggio di un vestito rosso, appariscente
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sei stata brava a coglierlo!!
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🙂 Era lì che si faceva vedere
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Bello! E te lo dice una che i racconti non li ama tanto, eh!
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Allora vale doppio 🙂
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Bravaaaa!!! Incredibile l’ispirazione suscitata dalla dirimpettaia di seggiolino… che viaggio!😉
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Un viaggio tutto mio… Chissà qual’è la sua vera storia?
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Che bel pezzo! Non riguarda il pezzo ma complimenti per il coraggio del vestito rosso, io ormai da anni non mi sento più a mio agio con i colori vivaci!
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il rosso è un bellissimo colore, ma non è facile indossarlo con disinvoltura. Grazie Elena
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Bello. Bello bello bello, veramente bello.
Mi sa che oggi sono a corto di aggettivi… o forse non ce ne sono altri per rendere quanto hai fatto.
Ciao 🙂
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“Bello” è un aggettivo gratificante. Grazie
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Che piacere leggerti seguendo un filo da sarta. Bello questo fantasticare 🙂
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🙂 il filo rosso della sarta. Grazie Tratto
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