Il villaggio era proprio ai piedi della collina. Poche anime, forse un centinaio da quando i giovani avevano iniziato ad andarsene; decimati dalla guerra prima, dalla migrazione poi. Interi nuclei famigliari erano spariti, dopo generazioni di immutabile appartenenza alla collettività, ed essendo la comunità geograficamente emarginata, i legami famigliari erano quantomai intrecciati e intricati, cosichè ognuno poteva dirsi parente di tutti. Ogni famiglia che se n’era andata aveva quindi lasciato un buco nella genealogia di quelle rimaste.
Il vecchio era vecchio da parecchi anni e la sua famiglia non era stata risparmiata dai lutti e dalle partenze. Non avrebbe potuto. Un figlio, una genero, un fratello e le donne a loro legati. I nipoti. Spariti. E anche un’orda di cugini di diversi gradi. E i suoi coetanei, partiti per una nuova vita, o per età, nella valle dell’oltre, o per seguire i figli in altri paesi. Lui, che del villaggio era il più saggio, il vertice, l’uomo di punta, il capo – se ce ne fosse stato uno riconosciuto – si era sempre rifiutato di “sparire”, nè morendo nè partendo. Ma anche ai migliori propositi si viene meno e alla morte della moglie si era accorto di non essere più la punta di niente, non avendo più basi sulle quali innalzarsi: non una famiglia da governare, non un villaggio da consigliare. Così, non ancora persuaso a morire, si era deciso ad unirsi al figlio e alla sua progenie, partiti per l’Italia anni prima. Non era stato facile, ma in qualche modo era arrivato a destinazione, in un mondo lontano dal suo e non per i chilometri percorsi. Aveva tentato di capirlo quel mondo è di adattarsi, nonostante la scarsa attitudine personale e anagrafica all’adattamento. Inutile dire che non c’era riuscito. Tutto gli mancava di quello che era, ma più di tutto il suo essere l’uomo di punta, relegato al ruolo di vecchio in un paese che odia la vecchiaia. E così si era rassegnato all’attesa di una nuova partenza, l’ultima, e spesso lo faceva in quel luogo soglia che è la stazione ferroviaria , sedendo sempre sulla stessa panchina, di traverso, sulla punta.
Che bella storia! …e che barba importante, non potevi davvero lasciartelo sfuggire.
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Era lì che mi chiamava
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che meraviglia!!
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Un personaggio e una petsona da raccontare… Anche se inventandone la storia
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la meraviglia sta in questo!
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Il vecchio era vecchio da parecchi anni… vedi, Katia, solo chi ha vera sensibilità può scrivere un post come questo, mi hai commossa.
Un abbraccio.
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Commossa dalla tua commozione. Grazie
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Sincera, non faccio compliomenti a vanvera, mai. Ciao cara.
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Valgono di più per quello 🙂
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Che bellezza la storia e che bello lui… 🙂
Brava Katia!
Ciao!
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Grazie 🙂
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Grazie a te! 🙂
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Anche io mi sono commossa, bellissima storia!
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Grazie… Davvero
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Commovente, concordo con la Miss. E lui è proprio il mio tipo.
Bello anche quel luogo soglia che è la stazione…
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Bisognerebbe frequentarle più spesso le stazioni: si incontrano anche persone “soglia”
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