Il treno nei libri: Quando sapevamo aspettare

  Peter Bichsel. Quando sapevamo aspettare. Comma 22, 2011.

L'”attesa” vista da Peter Bichel. Un rito, un ritmo, uno stile di vita, un’arte… conosciuta anche dallo scemo del villaggio. Di seguito il brano che da il titolo a questa raccolta di elzeviri:

QUANDO SAPEVAMO ASPETTARE

Se lo si chiedeva a lui, allo scemo del villaggio, in un paesino della Svizzera, cosa facesse, diceva: «aspetto!». E tutti glielo chiedevano e continuavano a chiederglielo, e tutti conoscevano la risposta. E se gli chiedevi che cosa aspettasse, lui diceva: «Aspetto…», poi una lunga pausa di riflessione, «Aspetto… Aspetto… Aspetto e basta».
Avrebbe potuto dire di non aspettare niente, ma non lo faceva. No. Non era un filosofo, e la sua attesa non aveva nessun significato. Aspettava e se ne stava là.
Continuo a domandarmi perché in treno, cinque minuti di arrivare a Zurigo le persone stiano già in fila nel corridoio. Non può avere a che fare con la fretta, tutti i passeggeri arriveranno a destinazione contemporaneamente. Ma loro hanno aspettato di arrivare a Zurigo, hanno aspettato un’ora, due ore e non hanno aspettato così, come faceva lo scemo del villaggio, hanno invece aspettato qualcosa, hanno aspettato Zurigo. E questa Zurigo arriverà entro i prossimi cinque minuti: l’attesa finalmente giunge al termine. Aspettare, una tortura: non è così però, che la pensa lo scemo del villaggio, anzi aspettare per lui è l’esistenza, aspettare per una vita intera, aspettare e basta.
Spesso prendo il treno per lavorare, per leggere o per scrivere. L’impazienza è nemica di entrambe le cose e la ferrovia mi rende paziente. Ma succede molto più spesso che io prenda il treno perché voglio o devo andare a Zurigo, a Francoforte, a Berlino. E sarebbe un’ottima occasione per lavorare. Ma quando conosco la destinazione, in treno non riesco a scrivere. In questo caso anche per me il treno diventa un luogo d’impazienza, perché so cosa aspettarmi, aspetto Berlino, per esempio. Intanto, e questo è il dramma, l’arrivo a destinazione è previsto con notevole precisione, arriverò a Berlino alle 17 e 24. La previsione trasforma l’attesa in una tortura, perché disturba il tempo dell’attesa. Noi non siamo più capaci di aspettare.
[pp. 97-98]

Altre citazioni dallo stesso libro:

Informazioni su Pendolante

Pendolo dal 14 dicembre 2004. Per fare 43 km mi accontento di un’ora e tre mezzi di trasporto. Sono e faccio molte cose, ma qui sono solo una Pendolate. (Photos by Filippo Maria Fabbri)
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11 risposte a Il treno nei libri: Quando sapevamo aspettare

  1. ysingrinus ha detto:

    Sembra interessante.

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  2. stravagaria ha detto:

    L ‘altro giorno mi è capitata sott’occhio una frase che ricordava i tempi in cui per registrare un brano dalla radio dovevi restare ad aspettare ore per schiacciare il tasto “rec”. Mi ha fatto sorridere… certo, il nostro mondo era un mondo più lento, le interurbane, i gettoni, i telefoni fissi a volte persino duplex. Per non parlare dei genitori che non erano sempre disposti a realizzare i nostri desideri in tempo zero. Un po ‘di attesa invece rende tutto più prezioso. L’unica attesa che non sopporto è quella legata all’incertezza… Buona giornata 🙂

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  3. Miss Fletcher ha detto:

    Gran bella scrittura, questo luogo dell’impazienza ha grande fascino!
    Grazie Katia, un nuova chicca dal treno dei libri!

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  4. tiptoetoyourroom ha detto:

    Quanta saggezza in un piccolo testo. Quante riflessioni nate dal quotidiano.
    Leggendo pensavo di andare a dare un’occhiata agli orari dei treni per mettermi a fare la pendolare… ma da Ferno a Busto Arsizio mi sa che c’è poco fascino…

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