Non aveva mai conosciuto suo nonno. A dire li vero l’intera ascendenza paterna mancava all’appello, persa in confusi racconti di migrazioni, volutamente incompleti e reticenti. Le reazioni del padre alle sue richieste di spiegazioni andavano dall’indifferenza all’irritazione e lui desistette presto dal fare domande. Non aveva cugini e nemmeno zii che condividessero il suo cognome, tanto che in quinta elementare andava dicendo che se lo era inventato suo padre, capostipite di una nuova casata di cui lui era l’erede. Le sue fantasie su quella faccenda si alimentavano di letture, film e serie televisive, così in prima media iniziò a sospettare di essere stato adottato e in terza si diceva rapito dalla sua casa natale (reale, sicuramente) per l’impossibilità della madre di avere figli, ipotesi alimentata dall’assenza di fratelli e sorelle. Nei primi anni delle superiori si convinse di essere figlio di un ricercato o un pentito di mafia e la sua vita divenne guardinga e solitaria fino a raggiungere eccessi di reclusione pomeridiana e festiva che allarmarono i genitori. Confessò i suoi sospetti, messo alle strette, e la risata convulsa del padre lo stupì e umiliò tanto quanto lo scioccarono le lacrime che la seguirono. Non avrebbe mai pensato, il padre, di arrecargli danni tacendo il suo passato. Se ne scusò sincero, lo strinse come padre a un figlio e finalmente gli parlò di sè. Da una scatola sul fondo dell’armadio estrasse una piccola sacca di tela con la tracolla rotta e un cappello di feltro marrone. “Tutto quello che so di mio padre”, disse. “Me li lasciò addosso affidandomi alle cure di una donna che, non vedendolo tornare, mi portò alla polizia.” La borsa conteneva un biglietto, nome del neonato e il cappello non aveva segni distintivi. Ingiustificata la vergogna e il senso di colpa per l’abbandono subito, ma il padre li aveva provati così intensamente da non comprenderne le ripercussioni sul figlio, ma questo non venne detto. Solo suggellarono un silenzioso patto di “fine discorso” e non ne parlarono più. Cessarono così fantasie e isolamento. Il ragazzo smise di crearsi radici mentali per portarsi addosso quelle reali: un cappello di feltro marrone e una borsa da riempire.
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Spesso i figli in età adolescenziale vagheggiano radici immaginarie anche quando i genitori non sono reticenti. O no?
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come minimo si danno natali illustri 😉
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«…un cappello di feltro marrone e una borsa da riempire» e un treno da prendere, ignorando di incocciare nell’obiettivo indiscreto di una signora indiscreta.
FINE del primo atto. A quando il secondo?
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indiscreta… che parola grossa… diciamo curiosa, ecco 😉
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Bello questo regalare qualcuno un pezzo di vita possibile, l’immaginazione serve (anche) a questo 🙂
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la curiosità stimola l’immaginazione 🙂
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Già 🙂
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Non avevo mai pensato alle conseguenze per il nipote di avere un padre senza padre. Che stupida. Ne parlerò con S.
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le radici partono da lontano e più vicine si troncano più si fatica a trovare stabilità
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E poi ci son quelli che sono parecchio instabili pur con lunghissime radici.
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Ha ha ha… sì, è vero, come può essere vero il contrario
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Eh… ci vuole pazienza (chi ce l’ha). Ahahah 😀
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bello, molto bello
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(oh, comunque è uguale ad al bano 😀 )
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Ha ha ha…
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Ma grazie! Pensa che a me pareva un po’ debole
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