È risaputo che i treni non accettano giustificazioni e non hanno nessuna comprensione per gli stakanovisti. Partono, loro, anche se tu non ci sei per quei cinque minuti di troppo concessi all’ufficio. Così, salto in sella al velocipede e pedalo in accellerata verso la stazione. La solita strada, ma per l’occassione più ingombra di autobus in fermata, semafori rossi, pedoni e cani in attraversata libera. Moltiplica le distanze la fretta. Se poi devi fare un biglietto supplementare alla solita tratta, l’adrenalina prende il sopravvento e perdi di lucidità. Così armeggio convulsamente con lo schermo della biglietteria automatica, quando una grido alle mie spalle mi fa trasalire e dopo quel “signora, spingi qui!” un dito, presumibilmente appartenete al proprietario della voce, schiaccia lo schermo annullando l’operazione d’acquisto biglietto. La furia omicida nei miei occhi si placa all’istante quando incrocio i suoi: un omino sorridente, goffamente sprofondato in un piumino di due taglie in eccesso, che gli copre i polpacci e gli cade dalle spalle. Un berretto molliccio calato sulla fronte. Abiti recuperati, donati, raccattati. Disarma quel sorriso mite e quel suo incitarmi all’acquisto, “se no perdi il treno”. Ma quello è appena partito e il piccolo fagotto zelante, se ne dispiace. Mi rassegno all’attesa, sentendomi colpevole per essermene andata senza salutare.
Qualche ora dopo, alla stazione del capoluogo, in attesa al buio dell’ultimo treno per tornare a casa, un omuncolo con vestiti recuperati, raccattati, rubati, s’avvicina con aria molesta. Chiede una sigaretta, con un ghigno che si finge sorriso, opportunista. E mentre se l’accende mi chiede sornione in che città sono diretta e sibilandogli un “a casa!”, sento la coda del messaggio dell’altoparlante: cambio binario, treno in partenza. La corsa nel sottopassaggio e poi sulle scale, non mi risparmia le porte chiuse del treno. Un istante in apnea e si riaprono, a far salire noi, pochi disperati corridori. Mentre mi getto sul sedile con l’affanno, mi scordo totalmente di essermene andata senza salutare.
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ancora fatico a spiegarmi però perché dovrei avere io comprensione dei treni quando sono in ritardo. 😛
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Infatti, io non ce l’ho
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Vedo che ti mantieni in forma! I nostri governanti penseranno a un sovrapprezzo per averti evitato l’iscrizione alla palestra 😉
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Non ci avevo pensato. Meglio che non diffonda la notizia allora
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quei cinque minuti in più concessi al lavoro… nessuno li capisce -.-
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Nemmeno io 🙂
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io mi sono dovuta togliere questo brutto vizio… risultato: capo imbronciato e fegato meno sofferente 😉
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Meglio il capo imbronciato
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Li attiri come le api al miele! 😉
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Mi sento mielosa
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Che fatica, povera! E’ venuto il fiatone pure a me!
E i tuoi occhi con lo sguardo che fulmina…li ho visti eccome.
Prendi posto sul treno e mettiti a sfogliare il tuo libro pendolare del momento, mia cara.
Bacioni!
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Fatto!
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Mi sembra di capire che tutto ciò sia derivato da quei cinque preziosissimi minuti in più della tua esistenza regalati al lavoro… dimmi che almeno te li hanno pagati!
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Lasciamo perdere….
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