Tutti i giorni, poco prima della stazione di Reggio Emilia, attraverso il finestrino la signora vede un cane. Tutti i giorni si chiede cosa ci faccia quella sagoma a mezz’aria. Tutti i giorni si domanda come fare a scoprirlo. E’ pendolare la signora, ma non ferma a Reggio, prosegue oltre, anche se non di molto.
Tutti i giorni una pendolare arriva a Reggio Emilia e ci si ferma, senza mai badare al cane, sebbene proprio lì dove lavora se ne sta quel cane.
Il manicomio confinava con la ferrovia. Era uno di quegli istituti fatto a villaggio, a pochi chilometri dalla città, ovviamente verso est, autosufficiente. Lo aveva voluto il Duca Francesco IV d’Este. Il suo confine, arginato da mura, era segnato da un lato dalla via Emilia, dall’altro dalla linea ferroviaria Milano-Bologna. Stanno ancora lì, tutte e tre: la via Emilia, la ferrovia e il manicomio, che ora manicomio più non è. Da qualche anno, alla tratta principale corre parallelo un binario che porta a una sola fermata, che porta il nome del manicomio: il San Lazzaro.
Due pendolari, la ferrovia, un manicomio e un cane.
Attraverso l’Ufficio informazioni, una ricerca in rete, e una telefonata, la prima pendolare arriva alla seconda e dalla ferrovia si arriva al manicomio (ex). La curiosità fa il resto e una lunga passeggiata per il parco (ora campus) porta a un sottopassaggio, al confine con la ferrovia, là dove la signora poggia lo sguardo ogni mattina dal finestrino del treno.
Il cane se ne sta, di pezza, appollaiato su un cerchione di bicicletta issato su un palo. Ad ogni alito di vento, o passaggio di treno, la ruota gira e il cane con lei. Ha visto tempi migliori il peluche, ma non se la passa male. Sta di guardia a un orto, dicono abusivo, ma molto curato. Uno spaventa passeri che dall’alto controlla quel fazzoletto di terra tra le due tratte ferroviarie, quella lunga, verso Milano, quella morta verso il San Lazzaro.
Non è dato sapere la signora guardi ancora dal finestrino il cane che non è più un mistero.