Notturno per Torino 1/3: Roma-Bologna

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La macchina è andata, si è fuso il motore. L’unico modo per arrivare a Torino è il treno della notte e io li odio i treni. Sin da bambino mi hanno sempre messo paura. Mostri sui binari che inghiottono la gente.
Prenoto il biglietto in rete, ma pago tutta la mia inesperienza e finisco per dover affrontare un viaggio di dieci ore e mezzo da Roma a Torino con cambio treno a Bologna e Milano e tempi interminabili di attesa. Una follia, ma non ho tempo d’aggiustare le cose. Arrivo in stazione con sufficiente anticipo per comprare una bibita e un panino e un paio di consolatorie barrette di cioccolato fondente al peperoncino, per i momenti difficili del viaggio.

Il lungo biscione se ne sta apparentemente inerme sui binari, le fauci spalancate ad attendere i passeggeri. Il mio vagone è semivuoto. Una coppia di amici chiassosi, un uomo abbracciato ad una ventiquattrore, quattro turiste giapponesi che stanno spiegando al controllore di aver perso il treno precedente e un tizio con uno zaino lercio e capelli con urgente bisogno di uno sciampo. Alle 22.30, un attimo prima della chiusura delle porte, sale trafelata una ragazza bruna che senza badare al posto assegnatole si getta letteralmente sul sedile accanto al mio. «Le spiace se mi metto qui? Sa, viaggiare di notte da sola non è prudente e i controllori poi non passano mai». Non c’è problema, ovviamente, anche se spero che non sia una logorroica e mi lasci in pace con il mio libro.

Mentre il mostro di ferro muove i primi passi, mi metto a leggere per non immaginarmi come una nocciolina nel suo stomaco, ma la mia vicina mi urta più volte armeggiando nella borsa, finché, finalmente, ne estrae due ferri da maglia e un gomitolo di lana nera e inizia a sferruzzare senza più disturbarmi.

Le quattro giapponesi parlano per un po’ tra di loro, guardano guide turistiche, aprono cartine dell’Italia, ma poi si quietano. I due amici continua a borbottare ma sempre più sommessamente, l’uomo con la ventiquattrore per un’ora buona schiaccia ininterrottamente i tasti del suo portatile e la ragazza continua il suo lavoro a maglia.

Il lercio la fissa.

Non so da quanto la stia guardando, ma è inquietante il modo in cui la osserva. Quando si accorge di me, il lercio mi serve un sorriso beffardo e si volta verso il finestrino. La bruna non si è accorta di niente.

Il Capo Treno passa dopo dieci minuti dalla partenza, proprio mentre la mia vicina di sedile è in bagno e durante il controlla del mio biglietto, lo osservo chiedendomi come possa lavorare su questo mangiauomini di latta. Forse ha un ruolo anche lui nell’omofagia della bestia; una specie di enzima per la digestione dei passeggeri. L’uscita dal vagone dell’enzima è il segnale per la comitiva di sistemarsi per la notte e anch’io mi metto a dormire. Vengo svegliato da qualcuno che mi scuote: «Ehi, sveglia, sveglia. Siamo a Bologna, dobbiamo scendere». Scatto in piedi sull’attenti e mi ci vuole un’eternità per capire che la mia vicina mi ha fatto un scherzo che nemmeno in caserma mi avrebbe fatto ridere. «Ma sei pazza?». «Mi sto annoiando a morte – sbuffa lei – perché non facciamo qualcosa?». Non faccio in tempo a risponderle che dal sedile del lercio una voce nasale le propone senza mezzi termini la sua idea su come passare il tempo. Sarà quella sveglia inaspettata, sarà che i tipi come quello proprio non li reggo, ma mi si chiude la vena, come si dice dalle mie parti quando si insinua che il cervello non sia adeguatamente ossigenato da un adeguato apporto di sangue, con conseguenti effetti nefasti sul comportamento. Scatto verso di lui minaccioso: «Hai rotto, lercio! Perché non cambi aria?». Dal fondo del vagone i due amici si alzano: «Ehi, che succede? qui vogliamo dormire». Il lercio alza le braccia al cielo in segno di resa e sghignazzando prende il suo cencioso zaino e si dirige verso la coda del treno: «Tranquilli, belli, ve la lascio la vostra ragazza. Divertitevi!».Uscito lui, tutto torna tranquillo. La mora, spaventata, si siede e riprende colore. Mi mormora un grazie e dopo un attimo alza il suo lavoro a maglia e me lo mostra. «E’ una ragnatela?», chiedo. «Ma no – dice lei imbronciata – è un centrino». «Ma è nero?».«E che hai contro il nero? E’ un colore anche quello. Poi era l’unico che avevo in casa e io in viaggio devo tenermi occupata, se no svalvolo. Sai, non è che li ami molto i treni. Mi fanno paura».

Non c’è più verso di rimettersi a dormire così per tutta l’ora seguente ascolto le storie della ragazza che logorroica lo è davvero. Riesce a parlare ininterrottamente senza per altro dire niente.

L’altoparlante annuncia l’arrivo alla stazione di Bologna Ora devo solo decidere se pagare un albergo per un ora di sonno o bighellonare nella sala d’aspetto. Il dubbio viene sciolto dai due amici che mi propongono un giro nella città di notte, tanto anche loro devo aspettare il treno per Milano. Addentrarsi in una città che dorme ha sempre il suo fascino, quindi accetto volentieri, anche per scrollarmi di dosso la logorroica che mi ha informato di chiamarsi Monica.

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Questo racconto partecipa al faticoso EDS (Esercizi Di Scrittura) Natale in Nero dell’infaticabile La Donna Camel. Queste le regole:

  • Scrivi un racconto nero.
  • Ci mettiamo un po’ di cioccolato e una sorpresa.
  • Metti un particolare davvero originale.
  • Vietato usare: improbabile, intrigante. Recarsi è permesso con riserva.

Gli altri autori e i loro racconti:

Informazioni su Pendolante

Pendolo dal 14 dicembre 2004. Per fare 43 km mi accontento di un’ora e tre mezzi di trasporto. Sono e faccio molte cose, ma qui sono solo una Pendolate. (Photos by Filippo Maria Fabbri)
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20 risposte a Notturno per Torino 1/3: Roma-Bologna

  1. pendolo0 ha detto:

    Bello questo racconto! …torno a sferruzzare il mio centrino 😉

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  2. Melusina ha detto:

    Ti dico tutto alla fine.

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  3. Pingback: Natale con soffritto | Pendolante

  4. Calikanto ha detto:

    Suspence…

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  5. Niko ha detto:

    Bellissimo e… domattina devo prendere il treno per Bologna! 🙂

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  6. forza dell’abitudine sui viaggi lunghi, i ero immaginato il treno a scompartimenti da sei. quando hai scritto “semivuoto” e poi elencato una decina di persona per una attimo mi sono immaginato che fosse ironico e la scena bellissima di tutti costoro assiepati in sei-posti-sei. magari addirittura con finestrino non funzionante. 😯
    poi ho realizzato che tu stessi descrivendo un vagone intero, mannaggia

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  7. la donna camèl ha detto:

    Ma certo! Il treno è una location ideale, Agatha Christie insegna 😉

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  8. Pingback: lui, il lercio e la mora – un eds speciale per un viaggio speciale | trenodopotreno

  9. Fulvia ha detto:

    Brava. Hai costruito un racconto pieno di suspance e granfinale

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  10. Pingback: Nero livido | Tratto d'unione

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