Il treno di Marco Paolini

Ringrazio moltissimo Sonia che ha trascritto per me l’intervento di Marco Paolini che qui presento.

TRENO di Marco Paolini: Dalla trasmissione televisiva “Quello che (non) ho” del 16 maggio 2012 andata in onda dalle “Officine Grandi Riparazioni” di Torino dove si riparavano fino a pochi anni fa i treni.

http://www.la7.it/quellochenonho/pvideo-stream?id=i554178

“Premetto che sono di parte, son figlio di ferroviere quindi il sul treno ci sto a casa.

La rete ferroviaria disegna un’Italia diversa da quella autostradale da casello a casello. Quella del treno è fatta di nodi, di fili allungati verso punti abbastanza lontani. Pare un albero con tanti rami. Alcuni di questi rami pare fossero secchi. Potati. Le linee ferroviarie dismesse pare unissero punti abbastanza sbagliati. Sull’orario ferroviario ogni linea aveva un numero, ogni numero una pagina di orari. Per organizzare il viaggio lungo la penisola dovevo far coincidere arrivi e partenze nei nodi. Il biglietto valeva tre giorni, era ammessa la sosta e io ne approfittavo. Nei nodi si trovano le coincidenze (in Francia si dice correspondance, da noi si intuiva che centrava la fortuna per cui si preferiva coincidenza). Però perdere la coincidenza non è una disgrazia, non sempre. A me piaceva cambiare treno. Perché? Perché c’era sempre la speranza di cambiare in meglio. Cosa vuol dire? Vuol dire trovare un posto vicino al finestrino, per esempio, o uno scompartimento tutto libero che ti toglievi le scarpe, o una sconosciuta attraente. Mi son chiesto, adesso, cosa considerassi allora “sconosciuta attraente”. Non voglio indagare, però credo che per me il massimo fosse una che stava leggendo un libro che io conoscevo già. Questo mi dava un punteggio di partenza altissimo per cominciare. Però devo dire che mi piaceva anche se invece di cambiare treno passavo tutta la notte sullo stesso treno. Che voleva dire scompartimento corridoio, corridoio scompartimento. E mi piaceva, visto che dormire era perdita di tempo, mi piaceva sapere subito in che stazione si era fermato il treno, perché non danno l’annuncio di notte nelle stazioni. Dovevi aprire il finestrino e lo sentivi dall’odore. Ogni stazione d’Italia ha il suo odore e io lo conoscevo a memoria. L’odore base della ferrovia di notte è al gusto di maniglia, no vaniglia, maniglia, quella a manovella, quella del finestrino che, se dormendo in piedi in corridoio, ti casca la lingua sulla manovella e dormendo l’assaggi, la senti amara, sporco ma saporito e ti resta addosso anche dopo che è finito il viaggio. Ecco, i viaggiatori sapevano di treno. A questo odore base ogni stazione aggiungeva il suo: ruggine, carbone, corrente elettrica, piscio, secco, mare, nebbia, bagnato, muschio, sole, selvatico di piante clandestine invadenti e tenaci cresciute tra i binari. Odori di penisola dal treno. In Sardegna, sulle ferrovie secondarie, a un certo punto mi ricordo che si attraversavano praterie di ciclamini in mezzo alle rotaie e chiedo al ferroviere: “come mai i ciclamini?” e lui dice “hanno buttato il diserbante”, dico “e allora?” dice “eh, il ciclamino è un tubero non gli fa niente il diserbante!”.

Da dove viene tutto questo treno? Da una coppia, una bella coppia. Una bella coppia di forze uguali che applicate su rette parallele a un cerchio provocano la rotazione intorno all’asse. Fisica! In meccanica si chiama biella l’organo rigido che trasmette la coppia, e manovella l’albero a gomito che, tramite la biella, trasforma il moto orizzontale rettilineo in moto circolare. Si chiama stantuffo o pistone quella cosa cilindrica che scorre proprio nel cilindro e trasmette la spinta del vapore al sistema biella-manovella. La ferrovia è un sistema fondato su biella e manovella trasformatosi via via in un insieme sensibile di uomini, impianti fissi, treni, trasporto cose/persone, sistema che rispecchia l’ambizione, l’immagine e i limiti delle nazioni, degli imperi, delle loro periferie e delle loro colonie. La ferrovia entra nelle città dalle stazioni che ne sono, o ne erano, la porta principale, però il treno prima di fermarsi passa dietro a tutto il resto. Fateci caso, nessuno mette la facciata della casa dal lato ferrovia. La ferrovia mostra e fa sentire tutto l’odore che c’è dietro. A un certo punto però è arrivata l’aria condizionata sui treni, hanno chiuso i finestrini, niente più odori. Bielle e manovelle, per carità, erano state già dismesse, per trasmettere la coppia si usava un bell’albero motore, ma non bastava. Per i treni serviva comfort. Viaggiare stanca, hanno pensato. Hanno abolito i viaggiatori sostituendoli con i clienti, hanno anche chiuso tutte le piccole stazioni diventate fermate solitarie e trasformato quelle grandi in centri commerciali, che è un modo di far sentire i clienti a casa loro. I treni hanno cambiato prima colore, poi forma, per somigliare sempre più ad aerei senza le ali dove l’importante è prenotare. Tutti sono prenotati. Si capisce subito, sul treno, se uno è da poco sbarcato dal gommone perché è l’unico che viaggia col biglietto senza la prenotazione. I manager hanno diviso il vecchio sistema delle ferrovie dello Stato in uno più razionale, dove ogni treno ha un diverso padrone, un diverso biglietto per ogni regione e guai a chi sbaglia la prenotazione. Ci avete fatto caso? È tornata la terza classe sui treni di lusso, si chiama “top” e costa più della prima. Così, di fatto, la prima è diventata la seconda e la seconda è diventata la terza. Sono le regole del mercato dei flussi, ma somigliano tanto a un tempo passato in cui in Italia, prima dell’unità, di reti ferroviarie ce n’era quattro o cinque e di regni, allo stesso tempo, anche di più. Io per questo dico che la ferrovia è un sistema sensibile che rispecchia l’idea di una nazione, però vale anche per la sanità, vale per l’istruzione, anche lì c’è la prima, la seconda, la terza e anche di più. Voglio dire che la ferrovia che c’è non è l’unica possibile ma è quella che ci meritiamo per adesso, per adesso. Una volta le comunità lottavano per avere una ferrovia nella loro valle, oggi lottano perché non la vogliono. Non hanno torto, anche se non hanno ragione. Non hanno tutta la ragione perché chi ha subito un torto ha perso ogni fiducia nell’altrui ragione. Vabbè, hanno anche chiuso le officine di riparazione treni (come questa). Se il treno si rompe si chiama l’assistenza, lo riportano al concessionario. Le cattedrali (come questa) sono finite a fare da sfondo, sfondo bellissimo, a una mostra o alla televisione. Non è nostalgia la mia, ma una domanda: “ma perché i capitali son così fifoni da non vedere oltre il naso della borsa e non riuscire ad immaginare di costruire qualcosa, non dico di così maestoso (come questa officina), ma solido, che produca lavoro…”.

Mi fermo, per forza, torno alla biella, torno alla biellezza della macchina a vapore. Per metterla in marcia non c’è nessun bottone, c’è un forno, leve, maniglie, rubinetti, serve cura e manutenzione. Una cura di mestiere imparato che faceva chiamare Maestro chi andava verso la pensione. Ogni tanto di treni a vapore ne fanno ancora e io, ogni volta che posso, ci vado, anche domenica prossima, in Valle del Piave, ci vado ci vado. Di solito li fanno in queste linee mezze chiuse mezze dismesse che pare unissero punti sbagliati. Ma un dubbio mi resta, sbagliati ieri, ma oggi? Ma domani? Ogni tanto fanno un treno a biella e manovella, stantuffi, pressione di vapore e pare il Giro d’Italia. La gente esce di casa, parcheggia la macchina in mezzo alla strada e col telefono in mano fa il film, le foto, la televisione, che è il modo degli italiani di adesso di far vedere che sono stupiti o contenti. Prendono in mano il telefono e inquadrano ridendo. Il treno a vapore è qualcosa di solido in un mondo liquido, qualcosa che non scivola, non vola, non vuole la prenotazione. Io lo aspetto come aspetto una tappa del ciclismo in montagna e quando arriva io guardo la parte bassa, le ruote, le bielle che pedala come ciclisti in fuga. Ascolto pistoni, la pompa, sfiati, colpi di pressione, penso a chi sa dosare l’acqua, a chi sa spalar carbone, a chi sa prendere la febbre a una bronzina e quanto stringere un bullone, insomma a chi conosce l’arte della manutenzione. Io penso a millequattrocentotrentacinque millimetri tra una rotaia e l’altra, lo scartamento del binario, un metro e mezzo per passare ovunque, sul fianco, sul retro delle case. Io su quel metro e mezzo scarso son diventato adulto, nella mia nazione, viaggiando, dormendo, parlando con gli sconosciuti, innamorandomi dei dettagli, accudendo ogni tanto la macchina o spalando anche carbone sul treno in corsa tra i ferrovieri per il gusto di farlo, per il bisogno di sentire la solida biellezza, di farla durare. A me piace chi conosce il suo mestiere e lavora per far durare le cose di tutti un poco di più, l’arte nobile della manutenzione, di non buttare via quello che ancora può funzionare, che si può aggiustare. Anche questo, per me, significa una Repubblica fondata sul lavoro… e sul restauro.

Biella, manovella e pedalare, biella, manovella e pedalare, biella manovella e pedalare…”

Informazioni su Pendolante

Pendolo dal 14 dicembre 2004. Per fare 43 km mi accontento di un’ora e tre mezzi di trasporto. Sono e faccio molte cose, ma qui sono solo una Pendolate. (Photos by Filippo Maria Fabbri)
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5 risposte a Il treno di Marco Paolini

  1. Pingback: Vivere a Biella » Blog Archive » Il treno di Marco Paolini | Pendolante

  2. anonimo ha detto:

    Una sola, ed unica parola per descrivere un Artista come Marco Paolini…. GRANDE!!!!!

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