Il collega

[Racconto non pendolare]

Le lancette girano lente ma finalmente arrivano le diciotto. La sera di inizio autunno ha il cielo scuro e il sole che cala è coperto da nubi. Per tutto il giorno ho avuto i suoi occhi puntati addosso. Ho cercato di ignorarlo, nonostante le imbarazzanti invasioni di spazi, i silenzi della sua presenza, il suo ergersi muto davanti alla mia scrivania, con gli occhi chiari su di me. Non conosce le elementari basi della comunicazione interpersonale, dell’interazione tra colleghi e,con le donne è particolarmente imbarazzato e imbarazzante. Ci si scherzava, prima, tra colleghi. Un borderline dietro un bell’aspetto, un corpo modellato dalla palestra. Sarebbe piacevole se non fosse per il contrasto tra un millantato machismo e una malcelata timidezza.
Svelta timbro il cartellino prima degli altri e infilo la porta per uscire, ma lui mi segue sul viale. Indispettita cerco nel telefono un rifugio alla sua vicinanza. Parlo con mio marito, per trovare conforto ma soprattutto voglio distanziarlo. Già una volta ho dovuto impormi togliendogli dalle mani le mie borse che pretendeva, insistentemente, di aiutarmi a portare. Non era sembrato contento di quello sgarbo e da allora con me é cambiato.
Superiamo la porta dell’alto muro di cinta, quello dell’ex sanatorio che ospita ora il parcheggio. Il bel parco di pini alpini è deserto e per la prima volta non mi pare un luogo accogliente. Rallento per distanziarlo ma lui frena bruscamente, maldestro. Mi lancia occhiate gravi che alimentano una crescente ansia. La mia telefonata è finita e non ho più scuse per non dirigermi alla macchina. Nella breve sosta che forzo per allontanarlo, lo vedo fermarsi e armeggiare goffamente nel suo zaino tenendomi d’occhio. Una, due tre volte mi fermo e riparto, in un continuo, affannoso e inutile tentativo di distacco. L’irritazione iniziale è mutata in inquietudine crescerete, irrazionale, totalizzante e tutta le mia sicurezza di donna forte è svanita, spaventandomi più della situazione stessa. Ho perso il controllo. Mi guardo attorno ansiosa, alla ricerca di una presenza rincuorante, ma mai solitudine è stata più assoluta. Sto per sbottare in una liberatoria richiesta di spiegazioni ma, improvviso, il ricordo delle immagini di armi sul suo tablet – weapons freedom – mi blocca.

Prendo il viale laterale, lui mi tiene d’occhio dalla strada. Mi avvicino alla macchina dal lato passeggero per trovarlo appoggiato alla portiera del guidatore, ad attendermi. Bofonchia qualcosa sul tempo a cui rispondo con sorriso tirato. Poi, inevitabile, dopo aver sistemato armi e bagagli sul sedile, circumnavigo l’auto per salire. Si sposta quel tanto che basta a farmi inserire la chiave nella serratura, poi allunga la mano e, con galante, rigida affettazione, mi apre lo sportello. Salgo in macchina velocemente, in fuga, chiudendolo fuori, ma lui bussa al finestrino. A quel punto ho perso la capacità di respirare tranquillamente e dissimulo l’affanno con difficoltà. Giro la manovella per abbassare il vetro di pochi centimetri. Lui, mostrandomi un orologio militare, mi chiede delucidazioni sull’orario temendo che quel perfetto meccanismo non funzioni, poi mi augura un buon viaggio mentre già mi allontano, senza nemmeno allacciare la cintura di sicurezza. E dallo specchietto retrovisore lo vedo lì, in piedi, al centro della strada, che osserva la mia auto allontanarsi. A domattina.

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Questo racconto partecipa all’EDS 27 spousev paura! de La Donna Camel. Gli altri racconti:

Attenzione: L’EDS è stato prolungato fino alla notte di Halloween – Continua qui

Informazioni su Pendolante

Pendolo dal 14 dicembre 2004. Per fare 43 km mi accontento di un’ora e tre mezzi di trasporto. Sono e faccio molte cose, ma qui sono solo una Pendolate. (Photos by Filippo Maria Fabbri)
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24 risposte a Il collega

  1. ladonnacamel ha detto:

    Grande tensione e un brivido lungo la schiena: molto piaciuto.

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  2. lillina ha detto:

    Brava, però l’ho dovuto rileggere, alla seconda lettura per sbaglio gli ho chiuso una mano nella portiera.

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  3. Dario ha detto:

    La più reale tra quelle lette, inquietante 🙂

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  4. laGattaGennara ha detto:

    che poi chi non ce l’ha un collega così

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  5. aaqui ha detto:

    Ansiogeno. Piaciuto.

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  6. Melusina ha detto:

    Questo mi ha fatto veramente paura, proprio perché è estremamente verosimile. Deve essere una paura atavica, anche se oggi la chiamano stalking. Brava. Ma non andare più da sola al parcheggio.

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  7. Hombre ha detto:

    non puoi che starmi simpatica… 5 anni ho pendolato.
    quanto al testo, sì reale e realistico, brava.
    la foto poi è PER-FET-TA

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  8. Rudy ha detto:

    Pendolare anch’io, sono capitato su questo blog per caso, mi permetto di commentare.

    Non è piacevole come situazione. Mi pare forzata, però, da una incapacità di comunicare, anche fosse solo una richiesta di chiarimenti per il suo comportamento – ma non pretendo di insegnare a una donna come si fa, siete molto più abili degli uomini in questo.

    Complimenti per il blog.

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    • Pendolante ha detto:

      Le situazioni a volte sfuggono di mano, basta guardarle nell’ottica sbagliata e i comportamenti più naturali, come richiedere spiegazioni, diventano inconcepibili. La paura poi altera le capacità cognitive e così ci si trova ad affrontare un “niente di importante” come qualcosa di insormontabile. Poi, ripensandoci a mente lucida, si può ridimensionare la cosa.
      Grazie per la visita e i complimenti.

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    • Pendolante ha detto:

      Comunque, volendo essere provocatoria, tu credi che tutte le donne oggetto di stupro o di femminicidio abbiano incapacità comunicative?

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      • Rudy ha detto:

        No. Non so che cosa te lo fa pensare, a parte l’intento di provocarmi. Mi riferivo esclusivamente a quanto scritto nel racconto: l’avevo preso per una storia vera, e pensavo che il collega aveva superato la soglia di tollerabilità ben prima di arrivare all’auto, quando due parole civili sarebbero bastate, senza arrivare a una situazione di paura. Parole che sembrano mancare nella premessa del racconto. In questo forse il racconto è meno verosimile: nella vita reale la protagonista avrebbe reagito ben prima, ma è solo una mia ipotesi, per quel che può valere.

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        • Pendolante ha detto:

          La provocazione era aperta al pubblico, non rivolta solo a te. Concordo sul fatto che il dialogo aiuta a risolvere situazioni, ma a volte si sottovalutano proprio perché si ritengono assurde. Comunque la storia, nonostante sia inserita in un contesto di fiction, è presa da un episodio realmente accaduto.

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  9. Pingback: Racconto banale | Pendolante

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