La meditazione pendolare è una tecnica olistica accreditata per combattere lo stress del viaggiatore. I pendolari sono esenti dal ticket per ogni prestazione erogata dal Sistema Ferroviario Nazionale. Solo i più esperti possono raggiungere la piena consapevolezza attraverso esercizi di Mindfulness da vagone: ci vogliono anni di applicazione quotidiana per non farsi distrarre dal rollio della carrozza, dal brusio dei pendolari, dallo stridio dei freni, dagli odori da vagone e dagli annunci di ritardi. Dopo un periodo sufficientemente lungo di pratica, il viaggiatore che focalizza l’attenzione sul momento presente coltivando un atteggiamento non giudicante, avrà meritato lo status di Pendolare.
Indossano il medesimo trench beige di suggestione spionistica. Le due, una bionda, l’altra ovviamente mora, parlano una lingua dell’est Europa non meglio identificata che acuisce le reminiscenze cinematografiche di pellicola da guerra fredda, magari ambientate oltre cortina. Il medesimo rosso lacca le unghie. Ogni gesto amplifica la suggestione: infilarsi un auricolare, controllare lo smartphone, parlottare fitto tra loro. Solo quando la stanchezza ha la meglio e si abbandonano al sonno del viaggiatore appaiono per quello che sono: due passeggere che da un luogo si spostano in un altro.
“Mosca, anni ’80, sul leggendario treno della Transiberiana diretto a Ulan Bator, in Mongolia, due estranei si trovano a condividere lo stesso scompartimento: una timida e taciturna studentessa finlandese e un violento proletario russo dall’inesauribile sete di vodka. Nell’intimità forzata del piccolo spazio chiuso la tensione sale. Lui è uno sciovinista, misogino, antisemita, avvezzo al carcere e ai campi di correzione, ma con l’irriducibile passione per la vita di chi si aggrappa agli istinti bruti per non cedere al vuoto che lo circonda. Vede il fallimento del sogno sovietico, la deriva della grande madre Russia, ma non può che difenderla con la disperazione di un amore deluso. Lei è tormentata dai ricordi del suo ragazzo moscovita, uno studente che si è finto pazzo per non combattere in Afghanistan ed è impazzito nel manicomio dove l’hanno rinchiuso, lasciandola piena di domande senza risposta nella terra che l’ha sedotta. È l’anima di questa terra a pulsare nelle sconfinate distese che il treno attraversa, nei villaggi divorati dal degrado e dalla taiga innevata, nelle città chiuse dei deportati e degli scienziati, nel mosaico di identità e popoli di una Siberia in cui tutto è estremo. Con un realismo crudo che trasuda poesia, Rosa Liksom racconta l’incontro tra due destini, tra l’universo maschile e femminile, ma soprattutto il viaggio attraverso la fine di un impero che sembra sciogliersi in fanghiglia ai primi segni del disgelo, nel cuore di un popolo disilluso e fiero, rude e sentimentale, rassegnato e ribelle, che vive nella perenne nostalgia del passato e del futuro, nell’eterno sogno cechoviano «A Mosca! A Mosca!»”
Il fascino della stazione a volte si trasforma in immagine quando chi lo coglie è un fotografo che mette la propria estetica a servizio di questo Blog. Un grazie a FMF, Filippo Maria Fabbri.